Invitata da don Lino Modesto a Grumo Appula, nel Centro “Don Franco Vitucci” della Parrocchia Santa Maria di Monteverde, ho avuto occasione di condividere alcune riflessioni durante la celebrazione eucaristica, sul tema della comunione. Ecco una traccia della mia terza proposta. La prima la trovi qui, mentre per la seconda clicca qui.
Il più grande flop missionario della storia
Prima lettura (At 17,15.22–18,1), Vangelo (Gv 16,12-15)
Abbiamo ascoltato una pagina molto interessante del racconto di Atti. Paolo, il fantastico apostolo delle genti, fallisce miseramente nella capitale culturale del mondo ellenistico antico. Ad Atene gli viene detto che quanto dice è davvero molto interessante, ma non abbastanza per stare ancora lì ad ascoltarlo.
Una bella porta in faccia alla missione nascente. Paolo non si scoraggia. Prende atto e, come ci dice la pagina degli Atti che abbiamo ascoltato, cambia luogo recandosi a Corinto. Lì lo attenderà una comunità passionale, alla quale scriverà ben due lettere.
Una missione nata per sbaglio
Gli Atti degli apostoli ci presentano l’alba della missione cristiana e ce la presentano in un modo molto particolare. Non ci dicono che i primi discepoli e discepole di Gesù si misero intorno a un tavolino a pensare come pianificare i viaggi missionari.
1In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samaria. 4Quelli però che si erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola. (At 8,1.4)
Ci dicono invece che la piccola comunità dei credenti fu dispersa da una persecuzione che nacque a Gerusalemme. Scappando, i discepoli e le discepole di Gesù entrarono in contatto con altre persone, in contesti nuovi.
Uno Spirito che abita il mondo
Gli Atti insistono nel parlare della direzione della missione operata dallo Spirito Santo, e noi, leggendo il testo, cogliamo come lo Spirito Santo non parlava loro in modo magico.
Era la vita ad offrire opportunità, finanche nelle disgrazie come una persecuzione. E il piccolo gruppo dei credenti in Gesù seppe leggere nelle situazioni della vita le opportunità che permisero alla Parola di correre lungo le strade del mondo.
Una missione che parte dalla gente comune
E, dobbiamo notarlo, questa iniziativa missionaria non fu presa dai vertici della Chiesa. Il primo versetto del capitolo 8 di Atti aveva già precisato che gli apostoli erano rimasti a Gerusalemme. E poi precisa:
14Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. (At 8,14)
Chi guidava la comunità credente non fece che prendere atto di una iniziativa del gruppo allargato. Insomma, se la missione ebbe inizio nel mondo, lo dobbiamo alla capacità di donne e uomini resilienti che vissero le vicissitudini problematiche come occasione e non come limite.
Lo sguardo evangelico è uno sguardo positivo sulla realtà. La guarda non per deprimersi, né per giudicarla, ma per entrare in dialogo con essa, il dialogo con la vita concreta.
Maria esperta di festa
Questo episodio mi fa pensare alla pagina del vangelo di Giovanni in cui si racconta un matrimonio a Cana di Galilea, al quale furono invitati Gesù e il suo gruppo discepolare, e sua madre. Come sappiamo bene, durante il banchetto, accadde un bel pasticcio:
3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. (Gv 2,3)
Non si trattava di una catastrofe, ma di un inconveniente che avrebbe rovinato la festa. Era finito il vino. Ma qui è interessante constatare che fu Maria ad accorgersene. Diciamo allora subito che Maria si mostra immediatamente un’esperta di feste. Solo chi sa organizzarne una e gioisce dell’allegria altrui si può accorgere di un dettaglio così.
Maria attenta osservatrice
Maria, come i credenti e le credenti della prima ora dispersi da una persecuzione, guarda i fatti della vita con attenzione. Nota i dettagli e intuisce le fatiche, piccole o grandi, che attanagliano il cuore delle persone che incontra.
Noi sappiamo che quella pagina biblica non sta solo riportando un fatterello. Sta invece mettendo in scena il dramma umano di una vita senza festa.
Il segno del Messia
Il vino, nella cultura antica, era il segno dell’abbondanza festosa. Nella letteratura profetica, quel vino diventava anche l’emblema del Messia, che avrebbe inaugurato un’era di pienezza e gioia.
Giovanni ci racconta un tempo nel quale il vino è finito. La festa si interrompe. Forse quel tempo lo sperimentiamo anche noi, quando ci allontaniamo dalla logica del vangelo e preferiamo aderire a una spiritualità spenta e cupa.
Lo stesso Giovanni ce ne presenta i segni attraverso le giare presenti nella casa delle nozze.
6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. (Gv 2,6)
Un modo inadeguato di cercare Dio
Quelle anfore sono sei, segno dell’incompletezza. Sono di pietra, come le tavole della Legge e i cuori chiusi a Dio, di cui parla il profeta Ezechiele. E sono destinati alla purificazione rituale. C’è allora una ritualità sterile, incompleta e rigida che ci impedisce di incontrare il Signore vivente.
Per allontanarci da essa, dobbiamo fare come Maria e come la Chiesa nascente: imparare a leggere la vita come spazio abitato dallo Spirito di Dio. E questo è un compito affidato anche e soprattutto a noi laici e laiche.
È il compito di chi comprende che la costruzione del regno di Dio, condizione di umanizzazione e pienezza, si realizza in ascolto e in dialogo della vita.
Una chiesa che si guarda intorno
È molto interessante, in questo senso, la struttura nella quale stiamo celebrando. Questa arca è uno spazio senza pareti. Forse un domani, mi diceva don Lino, farete realizzare dei pannelli di vetro per proteggerla dalle intemperie.
Ma già adesso mi pare il perfetto simbolo di una Chiesa che sa guardarsi intorno. Vede la gente che passa, sente le sue parole di preoccupazione, le sue imprecazioni, le sue risate, le sue speranze. Ascolta il desiderio di entrare nella festa piena della vita.
Come i primi credenti e come Maria, può allora essere una Chiesa che impara dalla vita a seguire la potente voce dello Spirito Santo. Ascolterà allora quelle molte cose che Gesù aveva ancora da dire, ma delle quali non ci riteneva capaci di portarne il peso, come dice il vangelo che abbiamo letto oggi.
Una comunione a più livelli
Il Dio della vita continua a parlarci nella storia. Non in senso magico, attraverso sogni e visioni. Il Dio della vita ci parla nelle circostanze concrete perché è lì che chiede di mettersi in gioco e riconoscere spazi di umanizzazione da realizzare.
La vostra comunità parrocchiale è chiamata a costruire comunione non solo con Dio, il Nord della nostra bussola, e neanche solo tra voi, come siepi di alloro profumato, ma anche con la gente che incontrate, con i cosiddetti lontani, con chi vive senza il vino della festa.
Noi sappiamo che Gesù è il Cristo, ossia il Messia atteso. Ma se Gesù è il Messia, perché non è iniziata l’era messianica? Perché non sono finite le guerre, le violenze, le ingiustizie, i dolori?
Costruire il tempo messianico
Ebbene Gesù è il Messia che ha inaugurato il tempo messianico, ma ha lasciato a noi il compito di portarlo a compimento. Siamo noi che possiamo e dobbiamo operare perché finiscano guerre, violenze, ingiustizie e dolori.
E possiamo farlo se restiamo una Chiesa di frontiera, uno spazio aperto al dialogo, un osservatorio della vita, la possibilità di accogliere la voce dei lontani per raccontare loro che Dio è il vicinissimo.