Quando un ragazzo di vent’anni decide di farla finita, la prima reazione dell’opinione pubblica è mettersi alla ricerca di un motivo, di un colpevole. E allora si scava nel profondo, a volte nel torbido, per trovare qualcuno o qualcosa su cui scaricare la rabbia, il dolore. C’è chi invece si ferma in superficie una volta trovata una pista percorribile per bieche strumentalizzazioni politiche. Nel suicidio di Seid Visin, di origini etiopi, ex calciatore di Milan e Benevento, ci hanno sguazzato in tanti cavalcando un presunto odio razziale di cui sarebbe stato vittima.
E’ stato sufficiente un post scritto dal giovane qualche anno fa per avere la “prova”. Queste le sue parole: “Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone. (…) Ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità. Adesso sembra che si sia capovolto tutto. Ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro”.
Affermare che Seid Visin sia morto di razzismo è una vuota semplificazione. Così come avventurarsi nei meandri della depressione. Ai microfoni di Radio Amore Campania, nel corso della trasmissione “I Tirapietre”, è intervenuto chi davvero ha conosciuto Seid Visin, ovvero Stefano Cirillo, allenatore professionista e responsabile della VieSse Sport, dove il ragazzino ha mosso i primi passi da calciatore fino al professionismo. “Il tam tam mediatico a cui abbiamo assistito, accompagnato da un ping pong politico aberrante tra persone che non hanno mai conosciuto Seid per poter avere il diritto di parlare con cognizione di causa, mi ferisce. Mi sconvolge la freddezza di chi usa questo dramma per scopi personali. La situazione è complessa – spiega Cirillo – perchè parliamo di un ragazzo solare, intelligente, inserito, fidanzato con una ragazza finlandese, che parlava due lingue ed era iscritto all’università di Milano, facoltà di Giurisprudenza. Tra l’altro amava il teatro, ballava l’hip hop. E poi il calcio: un campione mancato con la C maiuscola. Pensate che Filippo Galli, un grande della storia del Milan ed in generale del calcio italiano, non sapeva dire se fosse destro o sinistro vista la sua naturalezza nel calciare con entrambi i piedi. Faceva video artistici, anche con mio figlio Yoseba. Era magnetico, piaceva molto alle ragazze, aveva tratti più da dominicano che africano. A mio avviso non è nemmeno la depressione il problema. Lui era un bambino adottato, è arrivato in Italia relativamente tardi, all’età di sette anni. Prima di sbarcare nel nostro paese ha vissuto anni di guerre e povertà ed è lì probabilmente che andrebbe ricercato il motivo, la genesi del gesto estremo. Rispetto alla stupidaggine del razzismo usata da chi non sa nemmeno dove si trova Nocera Inferiore e che oggi fa il professore di sociologia, è meglio dire cose vere, anche se fanno molto male. Mi raccontarono che quando era davvero piccolo rimase circa quattro giorni in una capanna accanto al corpo morto della madre. Poi arrivarono i soldati a raccattare i bambini per caricarli sui camion e trasportarli per circa 800 km con l’intento di salvarli. Chissà che non sia stato anche maltrattato in seguito. Il suo papà naturale aveva 16 anni quando è nato. Parliamo di un contesto tragico. Con il passare del tempo è probabile che abbia portato con sé queste terribili ferite immagini del passato, mostri che forse lo hanno tormentato in questa evoluzione. Qualcosa è successo dentro di sé e non lo saprà mai nessuno”.
Illuminante l’intervento dell’avvocato Mario Colella, legale che spesso assiste (anche gratis, ndr) i migranti: “Quello che i giornalisti dovevano fare e non hanno fatto, era andare ad approfondire la storia di Seid contattando, come avete fatto voi, le persone che davvero lo hanno conosciuto. La lettera del ragazzo usata squallidamente per trovare un motivo al suo gesto, è in realtà un post su facebook che ha scritto tre anni fa. Un post molto bello e condivisibile sulla lotta al razzismo che scrisse quando c’era il Governo Conte: ricorderete il blocco dei porti ecc. ecc. E Seid si era indignato. Questo post è stato raccontato come una lettera di addio che il ragazzo avrebbe scritto prima di suicidarsi. Non c’è nessun nesso anche se parlava di episodi personali in cui era stato vittima di razzismo. Il racconto di Stefano Cirillo è da brividi. Il padre adottivo ha chiesto di rispettare il dolore e che il razzismo non c’entra nulla”.
Poi Cirillo ha aggiunto: “Seid era un ragazzo che amava affrontare argomenti importanti, si schierava sempre dalla parte dei deboli, dei diversamente abili. L’avvocato Colella ha interpretato e sintetizzato perfettamente – come nessuno ha fatto – quella lettera, che non era scritta per se stesso, ma era espressione di solidarietà e di vicinanza ai fratelli neri, africani. E quando scrive di aver lasciato il lavoro perchè sentiva addosso lo sguardo pesante di persone, anche anziane, che lo accusavano di aver tolto un posto ad un bianco, non si riferiva a lui. La verità è che dopo tre anni lo stiamo uccidendo ancora dicendo bugie. Lui era molto integrato e riusciva a fare soldi per studiare e per godersi l’estate. Altro che razzismo, era benvoluto da tutti. Era orgoglioso come tutti i giovani in gamba. Mi hanno fatto vedere un video: ballava mentre caricava la birra alla spina. Pensate come era triste (ride amaramente, ndr)”.
Infine la magistrale chiosa dell’avvocato Colella: “Ci vuole anche ‘fortuna’ nel suicidarsi. Qualche giorno fa si è tolto la vita un irregolare guineano di 23 anni, Moussa Balde: nessuno ne parla. Lui è una vera vittima del disagio che vivono coloro che arrivano in Italia con i barconi. In questo caso probabilmente non c’era la possibilità di scagliarsi contro qualcuno per strumentalizzazioni socio-politiche con narrazioni precostituite contenenti il nesso razzismo-suicidio. Ricordate cosa scrisse Cesare Pavese quando si suicidò? “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”.