“Napoli rappresenta un capitale enorme per l’Italia, l’Europa, il mondo… E l’Italia, ha perso molto a sperperarlo, per indifferenza, ma anche per paura…” Lo scrive il più grande storico del Novecento, Fernand Braudel.
L’amore degli intellettuali francesi per Napoli non è sempre preso molto sul serio, perché le loro parole sono dettate da slanci poetici, da un colpo di fulmine per la lampante “diversità” dei napoletani, per la prorompente bellezza del paesaggio, e quasi mai parlano della sofferenza, delle gravi pecche politiche, e ancor meno della storia che le ha generate. Quando invece Fernand Braudel (1902-1985), il più grande storico del Novecento dice la sua, le parole non sono da sottovalutare. L’articolo è da centellinare, da riflettere, da usare come risposta senza appello ai detrattori, e anche come promemoria per chi sta in alto e mai guarda verso Sud.
Dimentichiamo il malessere epidermico; Napoli affascina il visitatore frettoloso d’oggi, come ieri gli amministratori ed i soldati di Carlo V e di Filippo II, alle prese con gli enormi problemi di gestione di un agglomerato tanto vasto: il secondo, per popolazione, del Mediterraneo del XVI secolo dopo Istanbul; il secondo, anche, dell’Occidente cristiano dopo Parigi. Impossibile restarvi indifferenti. Ma Napoli sa, ha sempre saputo difendersi. Ed io mi dichiarerò volentieri colpevole di essermi dato per vinto troppo presto o di aver mancato della perseveranza o dell’astuzia necessarie.
Mi è impossibile, però, non sognare per Napoli una sorte diversa da quella che le conosco oggi, invitando i miei amici italiani, tanto per godermi le loro reazioni, – sicuramente inorridite se si tratta di milanesi, bolognesi o fiorentini -, a immaginare quale avrebbe potuto essere il destino dell’Italia ed il volto di questa città, se fosse stata preferita a Roma come capitale del nuovo Stato. Roma, che nulla qualificava a svolgere questo ruolo, salvo la sua leggenda e il suo passato, mentre Napoli era, e di gran lunga – malgrado i rapidi progressi di Torino -, l’unica città ad essere, verso il 1860-70, all’altezza del compito. Avrebbe saputo adattarsi a queste nuove funzioni?
Indubbiamente, la difficoltà per lei sarebbe stata di rinunciare a sfruttare la penisola tutta intera, finalmente riunificata, come era solita fare con tutto il Sud, e di inventare una suddivisione dei compiti e degli oneri, tra città e territorio, meno egoistica o più equa… Non dimentichiamolo, Napoli fu l’unica città dell’Occidente, dopo il riflusso dell’Islam, a dare il proprio nome ad un regno; qualcosa di più di una capitale quindi, fu l’asserzione di un diritto di proprietà eminente.
Tuttavia l’errore dell’Unità risiede probabilmente altrove: nella volontà di voler costruire ad ogni costo uno Stato centralizzato su un modello francese, del quale noi francesi abbiamo tanta difficoltà a disfarci oggi, voltando le spalle a ciò che faceva la sua ricchezza, quella pluralità di città abituate a dominare e guardare lontano. Si pensava anche ad una rotazione, di cinque anni in cinque anni. Ma Napoli avrebbe saputo attendere tranquillamente? Temo di no: essa ama troppo la vita e le gioie della potenza per cedere a simili offerte… La credo piuttosto capace di un immenso coraggio, ma non di spirito di sacrificio. Non la vedo rientrare nei ranghi dopo avere occupato la prima pagina, allora per conservare il primo posto, ha scelto di essere diversa.
Diversa lo è indubbiamente oggi che assume clamorosamente il ruolo che le si è voluto far recitare di “vetrina” del Sud e dei suoi problemi, ai margini delle norme del mondo industriale e moderno. Provocata, io la sospetto volentieri d’aver fatto buon peso nella sua risposta e con successo indiscutibile: essa scandalizza ancor più di quanto le si chieda. Ma Napoli ha sempre scandalizzato, scandalizzato e sedotto. A cominciare dai sovrani, dai governi, dalle amministrazioni, che hanno voluto impossessarsene per mettere, attraverso di essa, le mani sull’intero Sud. Eccettuato Masaniello per qualche settimana, Napoli non si è data la pena di produrre nessun governante indigeno. Tutti sono venuti da fuori: Normanni e Angioini, Aragonesi e castigliani, spagnoli o ispano-francesi (coi Borboni), e di nuovo francesi con Murat.
Tutti, poi, hanno dovuto fare i conti con questa città enorme, che sfuggiva loro incessantemente e che controllavano solo in apparenza. Ma tutti hanno finito per lasciarsi prendere dal gioco; ed io capisco perché Murat abbia cercato disperatamente di salvare il suo trono e di averlo preferito, non senza coraggio, alla propria vita. Quale governo, oggi, sarebbe capace di un simile atteggiamento? Tenere Napoli è correre un rischio, e accettare di pagarne il prezzo. Nessun sovrano di ieri non ha dovuto annegare nel sangue di molteplici rivolte; neanche nessuno che non abbia lasciato dei rimpianti, nemmeno gli spagnoli, nemmeno i Borbone, che a Napoli hanno ancora i loro seguaci inconsolabili.
Tenere Napoli però è anche potersene aspettare e ricevere molto: troppo spesso presentata come il modello della città parassita, che per finanziare il proprio lusso e le proprie miserie esaurisce tutte le risorse della sua campagna, Napoli è anche un luogo di creazione. Pensiamo al suo abbagliante Settecento – che quasi riconcilia il francese che io sono coi Borbone – in cui essa dona all’Europa l’archeologia, la musica, l’opera, l’economia, e molte altre cose ancora. E ciò senza mai cedere – ne è testimone Galiani – alle mode parigine: la sua relativa lontananza le assicurava il distacco necessario.
Questo è solo passato? Forse. Ma il Settecento era ieri: ci stiamo apprestando a festeggiare il secondo centenario della Rivoluzione francese.
E poi Napoli ha continuato a dare molto all’Italia, all’Europa e al mondo: oggi esporta a centinaia i suoi scienziati, i suoi intellettuali, i suoi ricercatori, i suoi artisti, i suoi cineasti…. Con generosità, certo. Ma anche per necessità. Mentre non riceve nulla, o pochissimo, da fuori. L’Italia, secondo me, ha perso molto a non saper utilizzare, per indifferenza, ma anche per paura, le formidabili potenzialità di questa città decisamente troppo diversa: europea prima che italiana, essa ha sempre preferito il dialogo diretto con Madrid o Parigi, Londra o Vienna, sue omologhe, snobbando Firenze o Milano o Roma…
Non attendiamoci da lei né compiacimenti, né concessioni. Questo capitale oggi è sottovalutato, sperperato fino ai limiti dell’esaurimento – poiché non si può dare eternamente senza ricevere. Eppure quale grande opportunità per tutti noi, se ora, domani, questo capitale potesse essere sistematicamente mobilitato, sfruttato, valorizzato. Quale grande opportunità per l’Europa, ma anche e soprattutto per l’Italia. E questa opportunità, Napoli la merita più che mai.
Articolo sul Corriere della Sera, 1983 – tradotto dal francese